E così finiranno le mie elementari?

Lettera di una bambina della classe V

“Ciò che più mi brucia è che passeremo direttamente alle medie.

Ciao compagni, ciao maestre.
Più di un mese fa un virus chiamato COVID-19, o meglio conosciuto come Coronavirus, ha cambiato totalmente la vita di tutti i giorni.
Le mie giornate ormai sono sempre tutte uguali, il tempo passa lentamente. Nonostante la quarantena obbligatoria c’è chi, senza coscienza, se ne va in giro.
A chi importa se dei ragazzini come me si sacrificano non andando a scuola, non abbracciandosi più? Non potersi incontrare ci rende tristi.
È sconfortante che l’ultimo anno delle elementari ci sia capitato tutto questo. La cosa che più mi rende triste è sapere che un ciclo finisce senza neanche avere avuto la possibilità di salutarci con un abbraccio.
lo resto a casa con la speranza che tutto torni alla normalità. Ciao compagni della scuola primaria, ciao maestre. Il nostro sarà un arrivederci. Passeremo direttamente alle medie, ma i vostri occhi resteranno sempre la nostra luce.”

Martina Calabria, V B

“Un bambino è una persona piccola,” con piccole mani, piccoli piedi e piccole orecchie, ma non per questo con idee piccole. Questa la presentazione dell’albo di Beatrice Alemagna, una piccola guida per avventurarsi nel mondo dei bambini e imparare dalle loro domande sull’universo adulto, così misterioso e lontano.


Martina Calabria, di Marigliano, classe V elementare, ci spiazza seguendo esattamente questa logica con una lettera sincera e appassionata. Riflette e s’interroga sull’impossibilità di salutarsi, di chiudere il ciclo iniziato con i suoi compagni e le sue maestre… Come chiudo questo capitolo della mia crescita se non posso salutarlo. Come si mette un punto senza un foglio bianco?

Martina chiede un rito di chiusura… chiede un tempo per la fine, con la festa, le lacrime, con gli abbracci, gli arrivederci di chi ha passato questi 5 anni con lei e questo non le può essere assicurato.

Ma quale rituale può rassicurare nel pieno di nuove routine senza nome, in cui fatichiamo a riconoscere quella che abbiamo sempre chiamato Scuola, con tutti i suoi pro e contro.

Anche gli adolescenti hanno nostalgia della scuola, mancano i prof., i banchi, la sigaretta fumata di nascosto, i bidelli chiacchieroni che interrompono le lezioni col caffè, il registro, la comunicazione, il verbale, la merenda, la campanella.

Mancano anche le interruzioni di questa scuola a singhiozzi. Manca sentirsi parte di una comunità, vestirsi la mattina per varcare la soglia dell’ingresso in pace con se stessi, per avere il lasciapassare dei coetanei, mancano i voti delle interrogazioni per cui hanno studiato tanto e a lungo, o per cui hanno solo ascoltato la spiegazione in classe, ma il corpo e la voce del professore bastavano a ricordare le cose importanti.

Molti dei nostri allievi si stanno preparando ad affrontare il salto dalla scuola dell’infanzia alla primaria, dalla tesina di terza media alle superiori e dalla maturità all’università.

Come riformulare il senso della chiusura di questi cicli formativi in un momento dove le coordinate spazio temporali sembrano aver perso la loro bussola istituzionale?

Come riformulare i percorsi e i racconti di una scuola che dichiarano ormai finita, eppure deve fare i conti con la ritualità della valutazione e della relazione a distanza?

Quali riti può costruire insieme la comunità scolastica per rafforzare la propria funzione educativa?

Quali riti possono contenere il nostro traghettarci nel prossimo futuro della scuola? Martina lo ha detto meglio di noi.

Mena Carillo 

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