Napoli - 13 dicembre
Quella mattina c’erano in sala genitori, fratelli, parenti di morti ammazzati: innocenti colpiti nel corso di esecuzioni di camorra.
“Sono un maestro ed un maestro di strada. Noi da sempre diciamo che occorre che i maestri siano in strada e non che bisogna levare i ragazzi dalla strada. Penso che voi sappiate troppo bene di cosa parlo. Da quando ho preso servizio nella scuola di ‘cupa del cimitero’ a Barra nel 1983, non c’è stato anno che non mi sia trovato vicino a bambini o adolescenti colpiti da morti violente. Quando muore qualcuno ucciso, criminale o innocente, un intero quartiere viene messo a lutto: i parenti, fratelli, cugini, vicini e tutti gli altri; e vi posso testimoniare che i più colpiti sono sempre quelli che non fanno parte del mondo criminale. I bambini o i ragazzi che non appartengono a quel mondo si sentono indifesi, sentono che quella campana, anche se non sembra, suona anche per loro e sono proprio i più indifesi che sentono il richiamo delle armi e della violenza. Alcuni anni fa furono proprio questi ragazzi impauriti a levare le maniglie dalle porte ed usarle a modo di pistola per simulare esecuzioni sommarie ed imprese criminali. Osservatori superficiali, come sono spesso i giornali che parlano di queste cose, avrebbero parlato di “modello camorrista vincente”, di ammirazione dei ragazzi per i criminali, in realtà noi sapevamo che quella era solo paura dei più fragili. Questo giocare con la morte ci dice quanto sia pesante la vita dei ragazzi – chiunque siano i loro genitori – in questi quartieri; in classe mia su 22 bambini 17 nell’intervallo giocavano al gioco del carcere: il pacco, la perquisizione, l’avvocato, il colloquio …. Esorcizzavano così il loro dolore, l’emozione violenta di avere una persona cara in galera. In quella stessa classe Antonio – 10 anni – mi raccontò che il nonno lo portava con sé per fare da palo durante dei furti. Lui aveva paura e voleva uscire fuori da questo giro. Mi arrampicai sulle mie conoscenze per suggerirgli vari modi per sfuggire al sistema criminale, compresa quella di andarsene all’estero dopo essersi preso una qualifica. Ad ogni mia proposta rispondeva: “quelli arrivano pure là”. Alla fine stufo delle mie proposte disse: per voi che siete fuori è facile non entrare, ma per me che sono dentro è difficile uscire. Allora ero troppo inesperto delle dinamiche psichiche per capire che le mie realistiche risposte erano inadeguate, che quel bambino mi stava chiedendo di poter dire la sua paura e poter trovare una sua strada di crescita tra il tradimento, la paura e la scuola. Il giorno dopo arrivò a scuola la madre accompagnata dal suo compagno – che non era il padre di Antonio – chiedendomi se il ragazzo aveva detto qualcosa. Io feci finta di niente: certo ha risposto bene alle domande di matematica, e anche in geografia se l’è cavata.
-No, qualcosa della casa
– Gentili signori a scuola ci occupiamo esclusivamente di materie scolastiche.
In quel momento mi resi conto che quel bambino non solo era costretto a svolgere un ruolo che gli faceva paura ma era anche sotto il peso di minacce e che gli impedivano di parlarne.
Oggi Antonio marcisce in una galera dopo aver compiuto il destino già scritto ed io so che nessuna istituzione compresa la mia è stata capace di tentare una risposta alle sue richieste.
Un’altra volta in quella stessa classe mentre guardavamo l’immagine di un soldato che piangeva tra le braccia di un altro soldato, Fabio improvvisamente disse: io li ho visti quei tre che sparavano a Piazza Crocelle. Sono andato avanti con il mio lavoro dicendogli una frase di circostanza: certo se uno vede sparare corre ad abbracciare qualcuno che lo protegge. In quel momento mi resi conto che per mesi Fabio si era tenuto dentro quella paura perché gli era stato proibito di parlarne. E Fabio era uno dei più capaci con una famiglia onesta che lo seguiva con attenzione.
Potrei fare centinaia di esempi di questo tipo voglio solo dire che i bambini e gli adolescenti – di chiunque siano figli – in questi quartieri sono lasciati soli a fronteggiare le emozioni più violente e che questo ingorgo emozionale è all’origine di disagi e di scelte che non sono mai socialmente produttive: o arruolarsi in uno degli eserciti in lotta o fuggire il più lontano possibile da questo orrore.
Recentemente abbiamo avuto un’altra ondata di omicidi di ‘innocenti’ e di persone che non saprei come classificare ma che sono comunque giovani morti prematuramente e in modo orribile.
Vincenzo è stato portato sul luogo dell’esecuzione dal suo amico: sono stati stretti sul motorino in tre, pelle a pelle, hanno sentito il respiro l’uno dell’altro e poi gli hanno sparato. Lo hanno sepolto in un triangolo di terra abbandonato che si trova tra tre scuole. Due giorni dopo uno dei complici si era già pentito; è stato riesumato il corpo alle dieci del mattino quando tutti i ragazzi erano a scuola. Qualcuno mi ha riferito che in una delle scuole ha girato una circolare che diceva ai ragazzi di non affacciarsi alle finestre. Ecco noi pensiamo che invece le finestre bisogna aprirle, non per vedere cadaveri esumati, ma per vedere nel cuore delle perone ed aiutarle e ad elaborare emozioni che altrimenti scavano nell’animo danneggiando la voglia di vivere e di combattere.
Si fa in tanti modi: mentre stavano ammazzando un altro innocente, Ciro, noi a poche centinaia di metri stavamo rappresentando la Lisistrata. Una commedia antica di duemilacinquecento anni, che racconta lo sciopero del sesso delle donne che volevano impedire il massacro in atto tra famiglie di opposte fazioni. In origine il testo faceva soprattutto ridere, ma in realtà la situazione era tragica e la ri-scrittura fatta dai nostri ragazzi e dal nostro regista ha colto in pieno questo aspetto. In quella sala, seduti sugli stessi banchi c’erano donne di Ponticelli, San Giovanni, Barra dove operano clan di fazioni opposte; quelle persone ridevano e piangevano allo stesso modo, quelle persone stavano provando le stesse emozioni di duemila cinquecento anni prima. Queste sono le cose che aiutano un processo di pacificazione.
Ecco, se noi vogliamo affrontare il mostro che sta delle visceri della nostra città dobbiamo scavare a fondo in noi stessi e trovare quelle solidarietà e quelle emozioni che possono unirci e metterci in condizione di offrire ai bambini e agli adolescenti un riparo sicuro quando infuria la tempesta. E la scuola dovrebbe essere in prima linea nel far questo, e i Maestri di Strada cercano di sostenere i docenti che vogliono confrontarsi con i compiti umani che sono parte fondante del loro lavoro.